domenica 17 aprile 2016

homesick #39

Ancora attese. Giornate di pioggia. Le gocce cadevano e formavano cerchi silenziosi sulle superfici di acqua che si creavano sull’asfalto. Li guardavo, allargarsi e scomparire. Sembravano un insegnamento, la semplice lezione di un bravo maestro. Imparavo. Come sempre, senza parole. Ancora attese e i cessi dell’ufficio intasati, pioggia e merda, l’odore di fogna, i pavimenti luridi, le telefonate di prima mattina e le incazzature, non che servissero, mi tenevo solo in allenamento, provavo la parte da duro, non mi riusciva quasi mai bene, mi serviva più pratica, più esercizio, avevo ancora il cuore troppo sensibile.

Strappavo le notti dai sogni, come pagine scritte in un linguaggio incomprensibile, scomparivano nelle pallide luci del mattino, ormai consumate, i rumori delle cucine, il caldo abbraccio del tuo corpo, le gemme sugli alberi cominciavano a dischiudersi, le luci riflesse, mettevo delle distanze, stabilivo dei limiti, mi imponevo una disciplina, educavo i miei sentimenti. Cancellavo il passato, rallentavo il futuro. Mi fermavo nell’attimo presente, uno sguardo oltre i tetti dei palazzi, le sfumature del cielo, l’arrivo delle nuvole, ancora pioggia, ancora attese, ancora silenzio a riempire gli spazi. 

Un solo battito del tuo cuore può far tremare il mondo intero. 


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