la voce dell’acqua nei tubi, morbidi
gorgoglii, gole di stagno nascoste dentro ai muri - le persone sul palco, il
microfono accesso, i fogli in mano, la lettura, le parole, senza vita, senza
anima, le palette della giuria, i voti, quelle palette, avrei voluto sentire
gli schiocchi della plastica sulla pelle del culo, vederla arrossarsi e
ascoltare quelle stesse cagate, quegli stessi giudizi uscire ancora dalle loro
bocche - ero seduto su uno sgabello, bevevo birra, mentre i racconti svanivano
nell’aria e le ragazze mi passavano davanti, si fermavano, mi guardavano, mi
sfioravano, parlavo da solo, in alcuni momenti, le mie solite osservazioni,
l’ironia di un idiota, era tutto troppo serio, come se ancora uno potesse
credere alle pubblicazioni, ad una vita da scrittore come se la immaginano gli
scrittori mediocri, cioè essere riconosciuti per strada, invitati,
intervistati, con il proprio libro in mano pronto per le firme - scrivere era
qualcosa che ti apparteneva e a cui tu appartenevi, era un legame, non potevi
scappare, le parole ti avrebbero sempre trovato - messo davanti ad un foglio,
il resto sarebbe accaduto da solo, c’era poco da pensare, organizzare,
studiare, il flusso arrivava e tu eri un semplice mezzo, una mano, delle dita,
niente di più e invece tutto ‘sto parlare, ‘sto giudicare, senza neanche
prenderla come un gioco, era proprio patetico, ad ognuno i suoi teatri e i suoi
pagliacci, questi neanche facevano ridere.
Una ragazza che si divertiva a
succhiare un cazzo era sempre piacevole da vedere, le sue dolci risate, gli
schiocchi della bocca sulla cappella, la sua gioia, la sua vita, mi mancavano
quei momenti - nelle strade fuori dal locale la giostra girava sempre uguale a
se stessa, me ne sono tornato a casa leggero e senza pensieri, la voce delle
vie non era altro che un innocuo bisbiglio.
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