Eravamo ad una stazione dei pullman e
dovevamo tornare a Santiago e Giancarlo ci ha salutati, era così calda e
rassicurante la sua presenza. Un uomo borbotta nel sedile dietro al mio,
scarabocchiando qualcosa su un foglietto di carta strappato, il volto crepato e
arrossato dall’alcol. Ci muoviamo lenti, fermata dopo fermata, stavo anche io
aspettando, che mi tornasse la voglia o il semplice desiderio di parlare con
gli altri, non so quando e se sarebbe
successo ma non volevo mettermi fretta, non sapevo neanche se un ambiente
urbano, anche se piccolo e intelligentemente organizzato come quello in cui
stavo vivendo, fosse quello giusto, continuavo a cercare luoghi isolati, strade
senza rumori, preferivo la compagnia degli alberi, dei fiori e dei piccoli
animali, ci capivamo io e gli alberi e loro mi abbracciavano con i rami e le
foglie, la luce che le attraversava e baciava il mio volto, l’ombra e i
fruscii, un linguaggio che avevo imparato a conoscere, così armonioso, che mi
parlava, ogni volta, sempre più in profondità.
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