Tornai
dal dottor Ballard, perché dovevo liberarmi da una dipendenza, perché ne
avevamo parlato molte volte, avevo bisogno di una cura, avevo bisogno che lui
mi aiutasse. La dipendenza era quella da immagini pornografiche ed era iniziata
durante l’adolescenza, sulle riviste. Ritagliavo figure di donne, le
collezionavo e mi ci masturbavo sopra. La cosa poteva anche essere tenuta sotto
controllo, l’unico problema era la mancanza di figure femminili reali, dei loro
corpi e dei loro universi, ero ancora inesperto, quei pezzi di carta erano le
mie amanti, con loro creavo storie nella mente e sborrate dentro le mutande. A
venti anni ebbi il mio primo rapporto sessuale. Continuai però con le fantasie
e l’immaginazione, era un mondo molto più stimolante. Questo si collegava a
forme masturbatorie che, con il tempo, divennero sempre più rituali. Con
internet la situazione precipitò. Bastava aprire il computer, collegarsi ad un
sito pornografico e masturbarsi. I legami tra immagini, eccitazione, fantasia
ed eiaculazione divennero sempre più stretti. Divennero un bisogno. Avevo
conosciuto delle ragazze, non molte, con una incomincai una relazione in cui
potei sperimentare le svariate sfaccettature della mia sessualità. Per un certo
periodo andò bene, poi il bisogno della pornografia tornò. Non ne potevo fare a
meno. Incominciai ad esplorare anche quella dimensione in maniera più profonda.
Iniziai a produrre pornografia. Foto, video, composizioni artistiche.
Sperimentavo. La dipendenza fisica arrivò nel momento in cui mi accorsi che
ogni volta che accendevo il computer, anche senza guardare immagini
pornografiche, la mia mano, dopo pochi minuti, si andava a posare sul cazzo,
massiaggiandolo lentamente. Era un riflesso condizionato. Come i cani di
Pavlov. La cosa continuò per anni, tentai di disintossicarmi svariate volte,
senza riuscirci. La situazione diventava ancora più incontrollabile quando
all’uso del computer e della pornografia associavo l’assunzione di hashish. Mi
perdevo in fantasie e nuove dimensioni, create dalla mia mente, un viaggio in
territori inesplorati dove perfezionai i miei rituali. Divennero una forma
diversa di sessualità, di pratiche misteriose. Questo mi allontanava dalle
donne, dai loro corpi. Dal desiderio, dalla voglia di scoparle. Gli incontri
con loro erano il semplice tentativo di spostare quelle fantasie in un terreno
che si potrebbe definire più concreto, quello della carne e degli odori,
connessioni che stavo perdendo, visto che trovavo più eccitante il contatto
delle mie dita sul mouse e sul cazzo, quando cliccavo da un’immagine
pornografica all’altra. Persi anche interesse negli orgasmi, l’importante era
mantenere il piacere più a lungo possibile. Era un vizio. Una gabbia da cui non
potevo più scappare.
Tornai
dal dotttor Ballard e iniziammo una cura. Passai due settimane senza vedere
immagini pornografiche, ci riuscii, i primi giorni erano difficili, la voglia
di masturbarsi era tanta come il desiderio di perdermi nei miei rituali e nelle
fantasie ad essi collegate. Potei di nuovo masturbarmi, dopo quelle due
settimane, davanti ad un sito pornografico. La sensazione non fu molto
piacevole, un senso di stupidità e di vuoto, di qualcosa di inutile che avevo
ripetuto per anni. Le due settimane divennero un mese. Il desiderio di
eiaculare arrivava, la cura consisteva nel non collegarlo più alle immagini
digitali, dovevo riprendermi quelle mentali, ero io e il mio cazzo e le
fantasie che potevo avere nella testa, niente tecnologia, niente internet. La
mano e la mente. Cominciavo di nuovo a guardare le donne e a desiderarle, ad
eccitarmi per loro, un piede, il profumo dei capelli, il contatto del corpo, un
abbraccio. Riuscivo a modellare queste sensazioni, ad incanalare quella spinta,
a domarla. Qualcosa quei rituali masturbatori me l’avevano insegnata. Il
controllo dell’energia sessuale. Aumentava anche la mia forza interiore, la mia
capacità di attrazione. Parlai con il Dottor Ballard, mi disse che la cura
stava funzionando. Ci salutammo con una stretta di mano. Lo invitai a passare
una serata da me, sul mio terrazzo, all’ora del tramonto. Per ascoltare i canti
che provenivano dalle alte torri, per assumere qualche sostanza. Per perdersi
nella trascendenza della realtà e di noi stessi. Per esseri uomini liberi,
negli infiniti mondi che avremmo creato.
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