mercoledì 13 luglio 2016

le alte torri #51


Tornai dal dottor Ballard, perché dovevo liberarmi da una dipendenza, perché ne avevamo parlato molte volte, avevo bisogno di una cura, avevo bisogno che lui mi aiutasse. La dipendenza era quella da immagini pornografiche ed era iniziata durante l’adolescenza, sulle riviste. Ritagliavo figure di donne, le collezionavo e mi ci masturbavo sopra. La cosa poteva anche essere tenuta sotto controllo, l’unico problema era la mancanza di figure femminili reali, dei loro corpi e dei loro universi, ero ancora inesperto, quei pezzi di carta erano le mie amanti, con loro creavo storie nella mente e sborrate dentro le mutande. A venti anni ebbi il mio primo rapporto sessuale. Continuai però con le fantasie e l’immaginazione, era un mondo molto più stimolante. Questo si collegava a forme masturbatorie che, con il tempo, divennero sempre più rituali. Con internet la situazione precipitò. Bastava aprire il computer, collegarsi ad un sito pornografico e masturbarsi. I legami tra immagini, eccitazione, fantasia ed eiaculazione divennero sempre più stretti. Divennero un bisogno. Avevo conosciuto delle ragazze, non molte, con una incomincai una relazione in cui potei sperimentare le svariate sfaccettature della mia sessualità. Per un certo periodo andò bene, poi il bisogno della pornografia tornò. Non ne potevo fare a meno. Incominciai ad esplorare anche quella dimensione in maniera più profonda. Iniziai a produrre pornografia. Foto, video, composizioni artistiche. Sperimentavo. La dipendenza fisica arrivò nel momento in cui mi accorsi che ogni volta che accendevo il computer, anche senza guardare immagini pornografiche, la mia mano, dopo pochi minuti, si andava a posare sul cazzo, massiaggiandolo lentamente. Era un riflesso condizionato. Come i cani di Pavlov. La cosa continuò per anni, tentai di disintossicarmi svariate volte, senza riuscirci. La situazione diventava ancora più incontrollabile quando all’uso del computer e della pornografia associavo l’assunzione di hashish. Mi perdevo in fantasie e nuove dimensioni, create dalla mia mente, un viaggio in territori inesplorati dove perfezionai i miei rituali. Divennero una forma diversa di sessualità, di pratiche misteriose. Questo mi allontanava dalle donne, dai loro corpi. Dal desiderio, dalla voglia di scoparle. Gli incontri con loro erano il semplice tentativo di spostare quelle fantasie in un terreno che si potrebbe definire più concreto, quello della carne e degli odori, connessioni che stavo perdendo, visto che trovavo più eccitante il contatto delle mie dita sul mouse e sul cazzo, quando cliccavo da un’immagine pornografica all’altra. Persi anche interesse negli orgasmi, l’importante era mantenere il piacere più a lungo possibile. Era un vizio. Una gabbia da cui non potevo più scappare.
Tornai dal dotttor Ballard e iniziammo una cura. Passai due settimane senza vedere immagini pornografiche, ci riuscii, i primi giorni erano difficili, la voglia di masturbarsi era tanta come il desiderio di perdermi nei miei rituali e nelle fantasie ad essi collegate. Potei di nuovo masturbarmi, dopo quelle due settimane, davanti ad un sito pornografico. La sensazione non fu molto piacevole, un senso di stupidità e di vuoto, di qualcosa di inutile che avevo ripetuto per anni. Le due settimane divennero un mese. Il desiderio di eiaculare arrivava, la cura consisteva nel non collegarlo più alle immagini digitali, dovevo riprendermi quelle mentali, ero io e il mio cazzo e le fantasie che potevo avere nella testa, niente tecnologia, niente internet. La mano e la mente. Cominciavo di nuovo a guardare le donne e a desiderarle, ad eccitarmi per loro, un piede, il profumo dei capelli, il contatto del corpo, un abbraccio. Riuscivo a modellare queste sensazioni, ad incanalare quella spinta, a domarla. Qualcosa quei rituali masturbatori me l’avevano insegnata. Il controllo dell’energia sessuale. Aumentava anche la mia forza interiore, la mia capacità di attrazione. Parlai con il Dottor Ballard, mi disse che la cura stava funzionando. Ci salutammo con una stretta di mano. Lo invitai a passare una serata da me, sul mio terrazzo, all’ora del tramonto. Per ascoltare i canti che provenivano dalle alte torri, per assumere qualche sostanza. Per perdersi nella trascendenza della realtà e di noi stessi. Per esseri uomini liberi, negli infiniti mondi che avremmo creato.


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