mercoledì 27 luglio 2016

Bristol #11




Le parole non arrivavano, si perdevano da qualche parte nella mia bocca o forse più semplicemente non avevo nulla da dire, se dovevo abbandonare la mia lingua volevo che quella nuova riuscisse a esprimere meglio le idee che avevo nella mente e le emozioni che provavo nel cuore. Tirava vento sulla collina e stranamente il cielo era senza nuvole, si erano nascoste da qualche parte, nell’attesa di tornare a mascherare lo spazio azzurro. Avevo passato una notte in discoteca a ballare, ero tornato a casa alle cinque di mattina, la luce stava nascendo e sfiorava i contorni degli edifici, non mi ricordavo neanche quanto avessi bevuto, avevo provato a toccare il corpo di una ragazza, con delicatezza, le avevo messo le mani sui fianchi, non so perché era così vicina a me, poi si è staccata e mi ha detto qualcosa che non sono riuscito a capire, però ci guardavamo, in alcuni momenti e credo che lei fosse lì con un altro uomo e poi l’ho cercata, quando non l’ho vista più, avevo la sensazione che si fosse creato un contatto e volevo rincontrarla, solo per sentire la sua presenza vicino alla mia. Mi svegliavo tutti i giorni presto, la stanza sembrava la cella di un monaco, leggevo e studiavo, praticavo il silenzio e la meditazione, continuavo in questa disciplina, non avevo rapporti sessuali, mi masturbavo quando era il momento, i miei bisogni diventavano sempre di meno, ero curioso di vedere dove mi avrebbe portato questa strada, l’esperienza mi aveva mostrato che quasi mai le direzioni scelte corrispondevano con i punti di arrivo. Nei sogni un uomo mi rimproverava di avere guardato dei siti pornografici e una donna grassa dai capelli neri mi faceva vedere i suoi giocattoli sadomaso, un apparecchio per l’elettricità, mi aveva detto che era il suo favorito, mi era salita sopra, voleva scoparmi? I pensieri si formavano e svanivano e per me non avevano nessuna importanza, mi sarei mosso per trovare un luogo tranquillo in cui vivere, sapevo che mi bastava poco. Parlare rapidamente mi sembrava un’enorme stronzata, si rischiava solo di aumentare il numero delle cagate che si dicevano, ma qui tutti volevano fare uscire fuori le parole ad alta velocità, a me piaceva farlo lentamente, ogni parola ha un suo peso, un suono che si espande e può creare significati, altrimenti è solo melodia o rumore. Mi incuriosivano le ragazze sudcoreane, così tranquille e pacate, silenziose ed ordinate, i loro volti erano maschere e gli occhi delle fessure che si aprivano sui loro mondi interiori, era difficile entrarci, erano misteriose eppure ogni tanto qualcosa usciva fuori, una scintilla in quegli opali, come per tutte le cose più belle che solo il tempo ci dava l’opportunità di conoscere.

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